L’autonomia testamentaria dei soggetti vulnerabili

Di BEATRICE GREGORINI -

Sommario: a) PARTE PRIMA – Un testamento intelligente: il diritto ad un “soffio di vita”. Il caso del malato di SLA. – 1. Interventi giurisprudenziali. – 2. Il diritto alla comunicazione non verbale. – 3. Formalismo degli atti di ultima volontà. – 4. Prospettive future. – b) PARTE SECONDA – Senilità non indica inferiorità. Il caso della persona anziana. – 1. Panorama giurisprudenziale e dottrinale tra testamento ‘suggerito’ e tutela della libertà del testatore. – 2. La captazione della volontà nel testamento olografo e pubblico e il parametro della serietà e ragionevolezza. – 3. Analisi legislativa e prospettiva de iure condendo.

  1. PARTE PRIMA

 

Un testamento intelligente: il diritto ad un “soffio di vita”. Il caso del malato di SLA.

 

  1. Interventi giurisprudenziali.

La prima decisione che ha permesso una valutazione completa e sistematica della capacità di redigere un testamento dei soggetti affetti dalla Sindrome Laterale Amiotrofica risale al 12 marzo 2012, ad opera del Giudice Tutelare del Tribunale di Varese.

Nel gennaio dello stesso anno, con decreto n. 333, era stata istituita in favore di un uomo affetto da SLA una amministrazione di sostegno[1], con designazione della sorella quale soggetto deputato a coadiuvarlo nelle attività gestionali ed amministrative, attese le sue disfunzioni organiche irreversibili. Nella sede del Tribunale di Varese, a marzo 2012, la sorella stessa, amministratrice di sostegno, ha presentato al Giudice Tutelare quelle che sarebbero le volontà testamentarie del beneficiario[2], volontà che, tuttavia, non possono essere tradotte in testamenti factio, data l’impossibilità fisica del fratello di firmare il negozio nello studio notarile eventualmente scelto. Difatti, il beneficiario affetto da SLA non può sottoscrivere in forma solenne le proprie volontà, pur essendo perfettamente in grado di manifestare il suo volere.

Nel decreto in esame si sottolinea: «La SLA comporta, in danno del paziente, la progressiva perdita dei motoneuroni centrali e periferici con un decorso atipico variabile da caso a caso ma con esiti infausti che la letteratura di settore non ha difficoltà a definire disastrosi per la qualità di vita, oltre che per la sopravvivenza. La patologia determina disfagia (ovvero la perdita progressiva e irreversibile della normale capacità di deglutizione), disartria (perdita dell’articolazione della parola) e una progressiva perdita del controllo dei muscoli scheletrici, con una paralisi che può avere estensioni variabili, anche in ragione delle condizioni soggettive e concrete del paziente, pregresse e sopravvenute. La SLA, tuttavia, non altera le funzioni cognitive e sensoriali del malato e, anche nelle fasi più avanzate, colpisce soltanto il sistema motorio e risparmia tutte le altre funzioni neurologiche»[3].

È evidente che il paziente affetto da SLA conservi intatto il suo nucleo del volere.

L’ostacolo rivolto all’individuo affetto da SLA di fare testamento si tradurrebbe, quindi, in una discriminazione fondata meramente sull’impedimento fisico-motorio e sulla disabilità.

La sorella, per questa ragione, «ha chiesto di autorizzare la sua sostituzione con rappresentanza, al beneficiario, per presentare ella stessa, come amministratrice, il testamento. Posto che, tuttavia, la stessa, come sorella, è comunque nominata tra gli eredi, ha anche proposto al giudice di valutare la eventuale nomina di un curatore speciale».

Tenuto conto degli accertamenti medici più recenti ed accertatosi il Giudice stesso delle condizioni del paziente malato di SLA, è stata decretata «la necessità di apprestare, in favore del paziente, meccanismi di “sostituzione” giuridica attraverso i quali il rappresentante raccolga la volontà del titolare del diritto e la renda efficace nell’ordinamento, sottoscrivendo gli atti in nome e per conto del rappresentato, nel rispetto del volere raccolto».

Così, il Tribunale di Varese ha proceduto con la nomina di un curatore speciale – essendo l’amministratrice di sostegno tra i chiamati all’eredità – cui ha demandato, ex art. 409, comma 1°, c.c., «il potere di rappresentanza sostitutiva per la redazione di testamento olografo ai sensi dell’art. 602 c.c.», nel rispetto di talune formalità: «1) il curatore […] chiederà al beneficiario stesso di redigere (a video), con il comunicatore oculare[4], il suo testamento […]; 2) […] il testamento olografo verrà depositato in casa del beneficiario, in luogo da lui indicato e copia dello stesso, con le rappresentazioni fotografiche, verrà depositato agli atti del procedimento. In quel momento cessa la curatela speciale qui aperta; 3) l’amministratore ha il compito di raccogliere le eventuali repliche o modifiche al testamento, informando il Giudice Tutelare perché si provveda alla raccolta delle nuove volontà, dove sopravvenute; 4) convoca il curatore per il giuramento, prima di assumere l’incarico».

Il Giudice Tutelare, essenzialmente, ha messo nero su bianco per la prima volta che il malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica può esprimere validamente la propria volontà testamentaria a mezzo di un comunicatore oculare, alla presenza dell’amministratore, volontà poi formalizzata in un testamento olografo da un curatore speciale nominato ad hoc.

Si è in tal modo ammessa una rappresentanza in atti personalissimi e, peraltro, in situazioni giuridiche soggettive non necessariamente a contenuto patrimoniale: «La soluzione preferibile è, dunque, quella che salvaguarda il diritto dell’incapace a porre in essere i suoi atti personalissimi e gli fa dono di uno strumento flessibile e plastico perché ciò avvenga: se si sostenesse che l’incapace non può farsi sostituire dall’amministratore nel porre in essere gli atti personalissimi, allora si dovrebbe accettare, di fatto, che i soggetti vulnerabili perdono, in concreto, quei diritti, in quanto non ne hanno più l’esercizio».

Si è ravvisato nel progresso tecnologico, è evidente, un’opportunità per «rimuovere quegli ostacoli che si frappongono tra il soggetto e la sua libera esplicazione della personalità»[5].

Si tratta di approdare ad una interpretazione che valorizzi l’autonomia dei soggetti deboli e che tuteli l’effettivo esercizio dei diritti[6], laddove «se non vi è esercizio non vi è neppure titolarità».

Portata a conclusione l’analisi del decreto, un aspetto che stimola una riflessione è la sussunzione del documento redatto di mano del rappresentante sostitutivo sotto la categoria del testamento olografo, disciplinato ex art. 602 c.c.

Facilmente si può comprendere che il documento steso dal curatore sfugge ai requisiti minimi di cui all’art. 602 c.c.

Piuttosto, nell’espressione delle ultime volontà a mezzo di puntatore oculare – come anche parte del notariato non ha mancato di far presente in occasione del 50° Congresso Nazionale del Notariato[7] – appare importante il ricorso allo strumento dell’atto pubblico, che offre maggiori garanzie in ordine alla corrispondenza “volontà esternata – volontà documentata”[8]. Il notaio, in effetti, rappresenta il fulcro della certezza dell’appartenenza della volontà alla parte dichiarante. E, allorquando la parte dichiarante è una persona vulnerabile, a maggior ragione entrano in gioco le necessità di garanzia, tutela e certezza[9].

Per di più, la presenza al momento dell’esternazione della volontà testamentaria dell’amministratore di sostegno, che è nel caso in esame anche uno dei chiamati, potrebbe aprire a possibili impugnative dell’atto testamentario per vizio del consenso, nonostante la nomina di un curatore, ove si dia riscontro di ulteriori elementi che presentino i connotati della callidità e dell’illecito[10]. L’assenza in questo caso della forma pubblica dell’atto comporta un’ulteriore carente garanzia per il malato.

Alla luce di questo breve appunto e nel proseguire l’analisi giurisprudenziale, merita di essere esplicato il provvedimento del Giudice Tutelare di Milano del 24 febbraio 2015.

Nel caso di specie, un soggetto affetto da SLA ha manifestato il proprio interesse all’esternazione delle sue ultime volontà.

Viene nella sede del Tribunale milanese sottolineato che «Il paziente affetto da SLA possa fare testamento dettando le proprie volontà all’amministratore di sostegno avvalendosi del comunicatore oculare, non potendosi ammettere che un individuo perda la facoltà di testare a causa della propria malattia, trattandosi di una discriminazione fondata sulla disabilità, precisando inoltre che per i pazienti affetti da SLA deve ritenersi sussistente un vero e proprio diritto alla comunicazione non verbale, mediante l’utilizzo di un comunicatore a puntamento oculare[11]». Inoltre, dacché il già nominato amministratore di sostegno, moglie del testatore, risulta essere altresì un chiamato all’eredità, il Giudice Tutelare ha provveduto alla nomina di un curatore speciale, affinché possa «accertare la reale volontà di testare del beneficiario, volontà espressa mediante l’ausilio del puntatore oculare, nonché nominare un notaio che possa raccogliere le disposizioni testamentarie del beneficiario medesimo nelle forme del testamento pubblico, ai sensi dell’articolo 603 c.c., assistendo alle operazioni dinanzi al notaio a tutela degli interessi e della volontà del beneficiario».

La fattispecie è, ebbene, analoga a quella del decreto del Tribunale di Varese poc’anzi analizzato. Le soluzioni proposte dai due Tribunali, tuttavia, non sono proprio identiche: il provvedimento del Tribunale di Milano ha ritenuto necessaria la redazione di un testamento pubblico ex art. 603 c.c., attribuendo rilevanza all’intervento notarile[12], laddove, diversamente, il Tribunale di Varese aveva ritenuto sufficiente un testamento olografo.

A questo punto, trovano sostegno giurisprudenziale le osservazioni esposte al secondo capoverso di questo paragrafo: il malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica, nell’atto della dichiarazione delle sue ultime volontà, merita adeguata tutela in ordine alla sua indubbia vulnerabilità, che può esser data mediante l’intervento del notaro, “guardiano” della effettiva volontà documentata. Muovendosi nel senso di un testamento pubblico, quindi, può essere garantita la certezza della vicenda successoria di cui ha bisogno capitalmente un soggetto in evidente fragilità.

  1. Il diritto alla comunicazione non verbale.

A fronte degli interventi giurisprudenziali e contributi dottrinali richiamati nel paragrafo precedente in ordine all’autonomia e alla capacità del paziente vulnerabile affetto da SLA, interessante (e al contempo dovuto) è un esame sull’accessibilità alla comunicazione per detto soggetto.

Riprendendo il decreto emesso dal Giudice Tutelare di Varese, «per far fronte alla prigione fisica in cui vengono a trovarsi pazienti affetti da SLA, il progresso tecnologico ha elaborato e messo in commercio sistemi di comunicazione alternativi che consentono al paziente di comunicare con forme diverse da quella verbale». Si fa riferimento, specificamente, ai comunicatori a “puntamento oculare”[13], che sfruttano l’unico movimento ancora gestibile del paziente, ossia il movimento degli occhi[14] [15].

«Il riconoscimento dell’importanza della comunicazione non verbale, mediante lettura del movimento oculare, costituisce un atto di rispetto e celebrazione della dignità del malato, il quale solo in questo modo può tornare ad essere partecipe della società, della famiglia, degli affetti e, soprattutto, solo in questo modo può tornare ad avere il governo della propria vita, mediante chiara e precisa rivelazione di ogni volontà e desiderio». È questo un passo del decreto di certo ammirevole, che solca le tutele nazionali, europee ed internazionali.

A livello nazionale, la legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (l. 5 febbraio 1992, n. 104) sancisce all’art. 1 lett. a) e b) che la Repubblica italiana: «a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; […]».

Inoltre, un tale diritto alla comunicazione è ricavabile anche dagli artt. 2 e 3 Cost., i quali sarebbero violati laddove il soggetto non fosse messo nelle possibilità di utilizzare mezzi di comunicazione rispondenti alle sue diversità.

Anche l’ordinamento europeo in questo campo dà il suo contributo: all’art. 2 TUE rilevano il rispetto della dignità umana e l’uguaglianza come valori fondamentali dell’Unione europea e all’art. 10 TFUE si esplica l’abbattimento di qualsiasi discriminazione fondata sulla disabilità.

Altresì la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea contiene riferimenti alla dignità umana quale diritto inviolabile (art. 1), al divieto alle emarginazioni fondate sulla disabilità (art. 21) e al rispetto del diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure volte a garantire l’autonomia e l’inserimento in ambito sociale, professionale e comunitario (art. 26).

Ancora, in campo internazionale, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (New York)[16] riconosce espressamente nel preambolo «l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte» (lett. n). Con questo fine, gli Stati contraenti si impegnano a promuovere, proteggere ed assicurare il pieno ed uguale godimento dei diritti e delle libertà fondamentali anche alle persone con disabilità (art. 1, comma 1°), garantendo la loro partecipazione ed inclusione nella società (art. 3), senza discriminazione alcuna (art. 4), ed assicurando nuove tecnologie alle persone con disabilità utili anche per l’informazione e per «l’accesso alla comunicazione»[17] (artt. 4 e 9), garantendo in ogni luogo – anche eventualmente adottando misure adeguate – l’esercizio della personalità giuridica e della capacità giuridica delle persone con disabilità su base di uguaglianza (art. 12).

Da questi dati normativi possiamo dedurre che “comunicare è un diritto”.

Importante è, a tal proposito, l’apporto del Consiglio Nazionale del Notariato in collaborazione con l’Associazione Italiana Sclerosi Amiotrofica: al 50° Congresso Nazionale del Notariato, nella giornata del 10 novembre 2015 dedicata al tema ‘Il valore economico della sicurezza giuridica: quale diritto per lo sviluppo?’, è stata avanzata la proposta di semplificare e rendere più immediata la partecipazione dei soggetti affetti da SLA alla contrattazione giuridica, attraverso un’interpretazione evolutiva della legge notarile, affinché si possa riconoscere la “comunicazione non verbale” senza intermediari.

La legge notarile, nello specifico, prevede l’intervento di un interprete per i soggetti sordi o per i muti o per i sordomuti nonché per gli stranieri, ai sensi rispettivamente degli artt. 56, 57 e 55[18].

Il Tribunale di Venezia, II sez., l’11 aprile 2017 – interpretando esattamente quanto già espresso in seno dal Consiglio Nazionale del Notariato – ha ritenuto di dover disapplicare i citati articoli della legge notarile per coloro che si esprimono tramite sintetizzatore vocale e puntatore oculare negli atti pubblici notarili[19].

Per il paziente malato di SLA, orbene, non è necessaria la nomina giudiziale di un interprete nella vicenda di esternazione della propria volontà testamentaria[20]. Nel caso di malato di SLA, in effetti, viene meno la ratio dell’ausilio di un interprete, che è quella di consentire a coloro che si esprimono con segni e gesti (o a coloro che, in quanto stranieri, non conoscono la lingua italiana) di manifestare il consenso tramite un soggetto che ha studiato e ha appreso il linguaggio dei segni e dei gesti (o una lingua diversa dall’italiano).

Per coloro che fanno uso del puntatore oculare, piuttosto, occorrerebbe verificare l’attendibilità dello strumento e l’accuratezza del sensore.

Dunque, non può mai essere impedito o affievolito il diritto alla manifestazione della volontà del soggetto, sia pure attraverso la mediazione di strumenti tecnici, che ne devono assicurare la corretta espressione del contenuto e la sua riferibilità.

In aggiunta, tornando all’atto pubblico introdotto dal Giudice Tutelare di Milano nel 2015 per le volontà testamentarie del malato di SLA, è opportuno ricordare che ormai si è aperta la strada anche alla possibilità della formazione dell’atto pubblico informatico con sottoscrizione digitale.

Il Consiglio Notarile di Milano ha commentato che ciò «spiana ulteriormente la strada per l’abbattimento delle barriere burocratiche affinché le persone affette da SLA, o con patologie simili, possano esercitare il loro diritto di comunicare grazie all’uso della tecnologia dell’eye-tracking per la firma digitale» ed ancora ha sottolineato che «il diritto alla firma, per chi non riesce ad apporre una sottoscrizione autografa, deve essere garantito per ogni tipo di documento attraverso la firma digitale che oggi ha lo stesso valore della firma autografa»[21].

Allora certamente è da riconoscere il merito al Tribunale di Varese nel 2012, al Tribunale di Milano nel 2015 e d’ultimo al Tribunale di Venezia nel 2017 per aver espresso la centralità e l’inviolabilità del diritto alla “comunicazione non verbale” in capo a coloro che non possono avvalersi del comune sistema di linguaggio. Nello specifico, per riprendere gli interventi dei tre Tribunali e condurre l’analisi a conclusione, si può affermare quanto segue: il malato di SLA può esternare per mezzo del puntatore oculare la propria volontà testamentaria, volontà raccolta da un notaio nella forma di un testamento pubblico, con sottoscrizione apposta tramite un dispositivo di firma digitale e l’inserimento di un PIN componibile con puntatore oculare stesso. Si può, dunque, parlare di una significativa conquista.

  1. Formalismo degli atti di ultima volontà.

A questo punto dello studio, significante è analizzare alcuni degli articoli del codice civile (molto formali, come si evincerà) in merito agli atti testamentari.

L’atto testamentario è, specificamente, il documento in cui sono incorporate le ultime volontà del de cuius. Il testamento, dunque, diviene lo strumento per conservare memoria certa dei propositi del defunto in ordine alla sua successione.

Il codice civile individua differenti modalità di esternazione delle ultime volontà: si può far ricorso al testamento olografo, pubblico o segreto.

Il legislatore del 1942, per di più, ha tenuto conto di situazioni di difficoltà comunicativa – sia che ricorra un impedimento a sottoscrivere, sia che ricorra un impedimento verbale o preverbale – in cui può versare il de cuius.

Seguendo la disciplina del testamento pubblico, nel caso in cui il soggetto sia impossibilitato a sottoscrivere le proprie volontà testamentarie, il notaio, dopo averne avuto conoscenza diretta, è tenuto a menzionare il fatto prima della lettura dell’atto (art. 603, comma 3, c.c.). Laddove, diversamente, il soggetto versi in condizioni di sordità o mutezza, si rimanda alla disciplina della legge notarile già precedentemente esaminata (art. 603, comma 4, c.c.).

Regole analoghe sono dettate anche per il testamento segreto (art. 604, comma 2, c.c.).

Nonostante la tutela di questi soggetti fragili, il legislatore non detta norme per il caso in cui ad esternare le ultime volontà sia un soggetto pienamente capace di intendere e di volere[22] ma con disfunzioni organiche permanenti che impediscono la comunicazione così come contemplata nella normativa.

La dottrina maggioritaria è orientata nel senso secondo cui il soggetto impedito solo fisicamente e non al contempo intellettivamente non veda limitazioni alla sua capacità di testare. Si è negato, pertanto, di estendere macchinalmente l’incapacità di testare sancita per l’interdetto ex art. 591, n. 2, c.c. al beneficiario dell’amministrazione di sostegno[23].

Manca, ad ogni modo, una risposta del legislatore in ordine agli atti testamentari del malato di SLA, risposta che si spera verrà presto data in maniera accorta, considerato che gli evidenti deficit motori del malato di SLA non possono porlo nelle stesse identiche condizioni di un soggetto in piena salute e considerato anche che l’eventuale osservanza, in via analogica, della disciplina riservata ai muti, sordi o sordomuti non riproduce fedelmente (o almeno sicuramente non del tutto) la realtà di vita del malato di SLA[24].

Si fa notare spesso in dottrina l’assenza di questa disciplina ad hoc, che, inevitabilmente, si traduce in carenza di effettiva tutela e, soprattutto, di certezza per il malato stesso e per chi intorno a lui vive la vicenda successoria.

  1. Prospettive future.

Dal quadro complessivo dell’analisi fin qui prospettata, emerge come il focus delle discussioni sul tema – siano esse giurisprudenziali, dottrinali o prettamente scientifiche – sia la ricerca del miglior interesse del paziente vulnerabile.

Ci si è concentrati principalmente sull’autonomia testamentaria del soggetto malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica, ponendo l’attenzione su ogni disfunzione organica che tale disabilità comporta, e si è prospettata una modalità di garanzia della dichiarazione testamentaria del malato e di tutela della persona del malato nonché dei suoi chiamati, seppure nel silenzio di una legge ad hoc.

Nel riconoscere un grande merito alla giurisprudenza qui segnalata, preme ora proporre prospettive di veduta più ampie.

La soluzione adottata dal Giudice Tutelare del Tribunale di Varese potrebbe permettere di guardare, oltre che ai malati di SLA, anche a tutti i soggetti che versano in difficoltà motorie più o meno gravi che ostacolano loro un’espressione pur sempre consapevole. Si pensi, ad esempio, ai malati di tumori in fase avanzata.

Tramite l’ausilio delle tecnologie richieste dal caso di specie, può esser garantito loro ancora un “soffio di vita”. Sicuramente un punto di partenza potrebbero essere i messaggi di inclusione, di uguaglianza e di “necessaria” tutela effettiva desumibili dalle sentenze esaminate.

Si può sperare che questa cultura si consolidi al punto da consentire l’esercizio di altri diritti personalissimi (si ipotizzi il riconoscimento di un figlio), superando gli ostacoli meramente fisici e motori che costituiscono un grande “blocco” della persona al “vivere ancora”.

  1. PARTE SECONDA

Senilità non indica inferiorità. Il caso della persona anziana.

  1. Panorama giurisprudenziale e dottrinale tra testamento ‘suggerito’ e tutela della libertà del testatore.

In assenza di malattie che comportino alterazioni della capacità di intendere e di volere, la capacità di testare non si indebolisce man mano che l’età avanza.

Sebbene sia da riconoscere che molte persone anziane versano in una condizione di limitata capacità, non appare ammissibile una limitazione legale della capacità di agire di tutti i soggetti anziani.

«Il mantenimento della piena capacità […] determina un’esigenza di tutela analoga […] a quella che ha indotto l’ordinamento giuridico a stabilire un momento di inizio della capacità di agire»[25] e, diversamente, sarebbe palese la violazione del principio di non discriminazione della persona per ragioni d’età, sancito dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Pur ammettendo, dunque, ad ogni età l’idoneità ad esternare validamente le proprie dichiarazioni testamentarie, va riconosciuto che la persona anziana può mostrarsi vulnerabile nella misura in cui versi in uno stato di “confusione decisionale” dettato da nuove percezioni[26]. In virtù di questo, giurisprudenza e dottrina agiscono alla ricerca di strumenti adeguati a garantire una effettiva esplicazione della volontà.

La tesi ad oggi prevalente in dottrina (e che trova l’adesione della giurisprudenza) va nel senso della prioritaria «esigenza di non fare degli anziani una categoria di inferiori giuridici»[27].

Deve essere tutelata, pertanto, l’autonomia testamentaria anche in età avanzata, sempre laddove non siano ravvisabili malattie che comportano degenerazioni intellettive.

La dottrina maggioritaria, significativamente, rifiuta allora ogni automatica affermazione in ordine all’incapacità di testare dell’anziano, proponendo comunque di considerare la vulnerabilità e la debolezza mentale in cui il medesimo potrebbe versare[28].

Concordemente, il Tribunale di Firenze, IV sezione, con pronuncia del 14 gennaio 2021, n. 71 ha affermato che «la semplice produzione in giudizio della cartella clinica del de cuius, riferibile al periodo in cui lo stesso ha redatto il testamento, dalla quale si deduca un banale stato di decadimento fisico tipico dell’età avanzata del testatore ma dal quale non sia dato ricavare con assoluta certezza la sussistenza di una patologia di una gravità tale da compromettere seriamente ed indiscutibilmente la capacità di intendere e volere dello stesso, non è sufficiente, ove non suffragata da ulteriori inequivoci elementi, ai fini dell’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore».

Oppure, ancora, il Tribunale di Lucca, con sentenza del 9 giugno 2020, n. 465, ha dichiarato indubitabilmente che «lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione»[29].

A ciò, però, va accostato il problema dei cc.dd. ‘testamenti suggeriti’, ovvero dei testamenti redatti con blandizie e indicazioni[30].

Il problema principale, allora, piuttosto che riguardare l’effettiva capacità di testare anche in età avanzata, concerne la tutela del testatore anziano vulnerabile che abbia esternato le sue dichiarazioni sotto influenze di soggetti terzi tese a recare loro vantaggio e a svantaggiare i successori legittimari.

  1. La captazione della volontà nel testamento olografo e pubblico e il parametro della serietà e ragionevolezza.  

Rifiutata ogni aprioristica affermazione in ordine all’incapacità di redigere testamento della persona anziana, resta da affrontare il problema della facile soggezione della persona senile a blandizie e suggerimenti nell’atto dell’esternazione delle ultime volontà, per uno stato di vulnerabilità fisica ed emotiva.

Entra ora in gioco l’esigenza di tutela dell’anziano e delle persone a lui legate da vincoli di parentela – in primo luogo, certamente, i figli – che spesso subiscono le conseguenze di atti di ultima volontà poco ponderati. Si fa riferimento alle ipotesi in cui il testamento è condizionato ed influenzato da volontà “non” del testatore (o almeno non del tutto), con inevitabile lesione recata ai legittimari nella successione.

Si segnala, pertanto, il problema dell’adeguatezza del testamento olografo[31] redatto da un soggetto anziano in evidente condizione di fragilità.

Diversi Paesi europei, di fronte a tali delicate situazioni, procedono all’accertamento dell’eventuale mancanza di una consapevole volontà per favorire l’annullamento del testamento e l’applicazione delle norme della successione legittima[32]. Ci si è mossi introducendo limiti di valore o limiti di età, superati i quali non è possibile utilizzare il testamento olografo. Oppure, addirittura, invertendo l’onere della prova, si presume viziato il testamento olografo di persona molto anziana per incapacità dovuta all’età stessa.

Queste previsioni sono sostenute anche da parte della dottrina[33]. Non è soltanto, dunque, un qualcosa che si osserva da lontano e rispetto al quale ci si prefigge di tenersi lontano.

Si tratta, ad ogni modo, di tesi facilmente criticabili: abbracciando queste medesime prospettive – tornando a quanto già ribadito – sarebbe, difatti, evidente la lesione della libertà testamentaria dell’individuo nonché la privazione dello stesso dell’autonomia e della libertà nelle scelte che concernono la sua stessa vita quotidiana, tendendo ad una certa violazione del principio della non discriminazione in ragione dell’età di cui all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Non si può guardare all’anziano come ad una persona incapace nel senso tradizionale; piuttosto, va tutelata la sua eventuale debolezza che lo può esporre a condizionamenti svantaggiosi per sé e per i suoi cari[34] all’atto del testamento olografo.

In realtà, la medesima problematica della captazione della volontà non può escludersi nell’ipotesi di testamento pubblico. Nonostante il soggetto interessato ad incidere sulla formazione della volontà testamentaria dell’anziano non possa influire in presenza del notaio, non è da escludersi il “suggerimento” in un momento antecedente all’arrivo presso lo studio notarile[35].

Una soluzione convincente contro la captazione della volontà nel testamento olografo e pubblico della persona anziana vulnerabile è ravvisabile in una risalente pronuncia della Corte di Cassazione del 17 febbraio 1947, secondo cui: «È da verificare la struttura del testamento, quanto alla normalità e coerenza delle sue disposizioni ed alla serietà e ragionevolezza dei sentimenti umani e delle finalità economiche ispiratrici di esse». Si tratta di una pronuncia assai datata ma che consente di trarre il parametro di serietà e ragionevolezza affettiva quale criterio risolutorio della problematica dell’autonomia testamentaria dei soggetti vulnerabili – ovviamente posto in dovuto equilibrio con la libertà di disporre del testatore. In sostanza, quindi, guardando al testamento redatto, va ricercato un “buon senso” del testatore in ordine agli effettivi affetti, così da scovare eventualmente le blandizie.

Tutto questo però sul piano teorico, perché sul piano pratico non è sempre agevole una valutazione di tali aspetti.

Resta da interrogarsi sulla rilevanza da attribuire alla captazione della volontà di una persona anziana. Chiarificatrice al riguardo è l’ordinanza del 17 ottobre 2022, n. 30424, con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di annullamento del testamento proprio sotto il profilo della fattispecie della captazione ex art. 624 c.c.[36].

Il caso trae origine dal ricorso avanzato da T. e C. per l’annullamento del testamento olografo di S. che istituiva erede universale la sua badante.

Il Tribunale in primo grado non aveva rilevato alterazione dell’autonomia decisionale della Sig.ra S.

La Corte d’appello di Genova, invece, aveva ritenuto fondata la domanda di annullamento del testamento ex art. 624 c.c., data la «vulnerabilità psichica»[37] che rendeva S. influenzabile e tendente ad agire sotto la pressione di terzi. Nella donna, infatti, vi era una riduzione della capacità di comprendere appieno il significato delle sue disposizioni testamentarie ed una ancora più grave riduzione della capacità di autodeterminarsi.

In particolare, i Giudici di secondo grado avevano rilevato i seguenti elementi: i) stato di minorata difesa della de cuius che a partire dal 2007-2008 aveva iniziato a presentare la patologia del disturbo mentale; ii) controllo del patrimonio ed ingerenza nelle scelte di natura economica subiti dalla de cuius ad opera della badante a partire dall’anno in cui l’aveva conosciuta, ovvero il 2008; iii) condotta della badante ai fini dell’isolamento della de cuius dai rapporti con i nipoti; iv) dichiarazioni nei testamenti tutti di contenuto analogo, sicuro indice di una pressione; v) scarsa conoscenza della badante da parte della de cuius quando aveva redatto il primo testamento; vi) esito del giudizio penale con condanna non definitiva della badante per il reato di cui all’art. 643 c.p..

La badante presentava ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione contestando l’accertamento operato dai giudici della Corte d’appello circa l’esistenza dell’alterazione della volontà della testatrice[38].

Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso inammissibile.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il testamento, ai sensi dell’art. 624 c.c., può essere annullato se la violenza e il dolo abbiano indirizzato la volontà del testatore in un modo diverso da quello in cui avrebbe potuto determinarsi e, in particolare: «Il dolo può consistere anche nella c.d. captazione che non si concreta in una qualsiasi influenza sul testatore attraverso blandizie, richieste e suggerimenti, seppur interessati, ma deve consistere in veri e propri artifici o raggiri o in altri mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata».

La Corte di Cassazione, allora, chiarisce che, laddove ricorrano soltanto suggerimenti e blandizie, il testamento non è suscettibile di annullamento; nel caso, invece, in cui vi siano veri e propri artifici atti ad intaccare la persona nei suoi punti di fragilità (tra cui l’età), ricorrono i presupposti per l’annullamento del testamento ex art. 624 c.c.[39].

Nel caso di specie, la badante aveva profittato della vulnerabilità della signora S., dovuta all’età avanzata e al fatto che la stessa viveva pressoché sempre sola nel suo stabile, allontanandola dai nipoti e raggirandola nelle scelte testamentarie.

La Corte di Cassazione ha, in definitiva, enunciato il principio di diritto secondo cui: «La disposizione testamentaria può dirsi effetto di dolo, ai sensi dell’art. 624 c.c., comma 1, allorché vi sia prova dell’uso di mezzi fraudolenti che, avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso verso il quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata; l’idoneità dei mezzi usati deve essere valutata con criteri di larghezza nel caso in cui il testatore, affetto da malattie senili che causano debolezze decisionali ed affievolimenti della consapevolezza affettiva, sia più facilmente predisposto a subire l’influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui da ultimo trascorrono la maggior parte delle sue giornate. Dette valutazioni costituiscono comunque apprezzamenti di fatto non sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5[40]»[41].

Ricapitolando, dunque, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza sembrano concordi nell’escludere che l’età rappresenti di per sé una causa di incapacità. Laddove, tuttavia, accanto all’età che avanza vi siano anche malattie che alterino la capacità intellettiva del soggetto, di certo non trova fondamento l’esclusione dell’incapacità di rilasciare testamento. A ciò va affiancata poi la ricerca di una tutela effettiva del testatore che, sebbene esente da una vera e propria malattia, versi in stato di fragilità emotiva e, quindi, sia facilmente “influenzabile”. La fattispecie della “captazione” della volontà accompagnata dal profittare dell’età avanzata appare riconducibile ad un vizio della volontà – come il dolo – e non alla incapacità della persona.

  1. Analisi legislativa e prospettiva de iure condendo.

Il vigente diritto delle successioni italiano non contempla la figura dei testamenti c.d. ‘suggeriti’ o, comunque, testamenti redatti da persone in condizioni di vulnerabilità[42].

I soli suggerimenti o blandizie sono, quindi, irrilevanti giuridicamente ai fini dell’annullamento del testamento, il quale rimarrà, perciò, valido.

Diversamente dall’immobilismo del legislatore italiano di fronte alla crescente attenzione della dottrina al ‘testamento suggerito’ delle persone vulnerabili, non si riscontra un’analoga situazione in altri ordinamenti (europei ed extra-europei).

Ad esempio, gli ordinamenti californiano, catalano e tedesco riconoscono ex ante la nullità di tutte le disposizioni che possano essere frutto dell’influenza altrui.

Il sistema giuridico statunitense attribuisce rilievo al vizio della indue influence (ovvero dell’influenza esterna, senza l’utilizzo di un mezzo fraudolento) a tutela dell’ageing testator e dei suoi familiari. La funzione è quella di tutelare l’autonomia e la libertà testamentaria, invalidando tutti quei testamenti che non risultano derivare dalla sola libera volontà del disponente. In particolare, l’ordinamento della California sancisce a priori la nullità di qualsiasi disposizione testamentaria realizzata a vantaggio del care custodian, che facilmente può apportare pressione psicologica all’anziano.

In ambito europeo, il codice civile catalano prevede, all’art. 412-5, che le persone fisiche o giuridiche che prestano al testatore servizi assistenziali, residenziali o di natura analoga in forza di un vincolo contrattuale, possono essere nominate eredi solo nel testamento redatto in forma pubblica, nonché in virtù di un patto successorio.

La HeimGesetz tedesca, invece, vieta le attribuzioni testamentarie in favore dei proprietari, direttori e impiegati di strutture geriatriche ad opera degli ospitati o dei loro familiari, facendo salvo, però, il caso in cui il beneficiario della disposizione non sia a conoscenza[43] del lascito. La funzione è, come ha chiarito la Corte costituzionale tedesca, quella di proteggere le persone vulnerabili[44].

Tutto questo non si riscontra nell’ordinamento italiano.

In Italia, parte della dottrina propone, de iure condendo, la limitazione del testamento olografo alle persone anziane[45]. Altra dottrina, invece, incoraggia il ricorso al ‘contratto ereditario’[46], sulla scia della dottrina tedesca, con l’intento di evitare procedimenti giudiziari intrapresi dai discendenti contro il testamento del vulnerabile anziano risultante ai medesimi sfavorevole.

Ad ogni modo, ad oggi è assente nel quadro legislativo italiano una disciplina che tenga conto della possibile fragilità della persona anziana, fragilità che, comunque, non è da confondersi con uno stato di inferiorità giuridica, come più volte sottolineato. Riprendendo il titolo, difatti, senilità non indica inferiorità.

[1] L’amministrazione di sostegno è un istituto introdotto dalla l. n. 6/2004 e disciplinato dagli artt. 404 – 413 c.c. La ratio di questo istituto è di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone che, a causa di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

I diversi istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione sono considerati dalla dottrina maggioritaria alternativi e residuali rispetto all’amministrazioni di sostegno.

[2] Sulla capacità di testare del beneficiario di amministrazione di sostegno dottrina maggioritaria e giurisprudenza seguono la stessa strada.  Per la dottrina cfr. G. Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, in Tratt. Bonilini; N. Bonfanti, I soggetti, in Manuale della successione testamentaria, G. Cassano e R. Zagami (a cura di), Santarcangelo di Romagna, 2010, p. 246; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2021; C.M. Bianca, Diritto civile 2.2 Le successioni, aggiornato da M. Bianca e P. Sirena, Milano, 2022, p. 304.

Per la giurisprudenza più recente cfr. Cass. civ., sez. I, 21 maggio 2018, n. 12460; Trib. Bologna, sez. III, 10 agosto 2021; Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2022 n. 13270, secondo cui: «Riconosciuto che di regola il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore di sostegno, lo stesso conserva la capacità di donare e di testare. È fatta salva la possibilità che il giudice tutelare, attraverso l’esercizio del potere previsto dall’art. 411, comma 4, c.c., possa imporre, nel singolo caso e in funzione di una maggiore tutela, la limitazione della capacità di testare o donare del beneficiario».).

Si veda, altresì, Corte cost., 10 maggio 2019, n. 114, ove è espressamente ammesso che «Il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione – tramite l’estensione, con esplicita clausola ai sensi dell’art. 411 indicato, del divieto previsto per l’interdetto e l’inabilitato dalla norma censurata».

Per un caso di esclusione della capacità di testare, cfr. Trib. Bologna, 11 marzo 2009, in Corr. giur., 2009, p. 1400.

[3] Cfr. AISLA.it circa Le caratteristiche della Sclerosi Laterale Amiotrofica, ove si legge: «La SLA, pur bloccando progressivamente tutti i muscoli, non toglie la capacità di pensare e la volontà di rappresentarsi agli altri».

[4] Per un approfondimento su questo strumento tecnico si rimanda al par. 2 della medesima parte.

[5] Il Giudice Tutelare più volte argomenta che gli istituti di protezione giuridica hanno lo scopo prioritario di rimuovere ciò che osta alla libera esplicazione della personalità del soggetto, mediante l’istituzione di una persona che accompagna le scelte esistenziali.

[6] In questa prospettiva rilevante è anche quanto osservato dal Tribunale di Sassari, sez. di Alghero, con decr. 14 luglio 2007: «[…] Non può dubitarsi del fatto che un infermo, completamente capace di intendere di volere, ma privato, proprio in ragione della malattia, della possibilità di esprimere verbalmente e per iscritto il proprio volere, conservi il diritto all’autodeterminazione individuale, senza limite alcuno. In siffatta ipotesi il problema che l’ordinamento deve porsi non è quello di sostituire la volontà dell’infermo con la volontà di un terzo, ma solo ed esclusivamente quello di individuare il mezzo più congruo ed opportuno per rimuovere l’ostacolo che impedisce a quella persona, e a causa della sua malattia, di esprimersi in modo autonomo, limitandone di fatto la libertà e determinando situazioni di disuguaglianza rispetto agli altri cittadini, in particolare rispetto a quelli che conservando, come il malato di SLA, la piena capacità hanno nondimeno conservato anche l’espressione verbale o scritta».

[7] Il 50° Congresso Nazionale del Notariato si è tenuto a Milano dall’8 al 10 novembre 2015.

[8] Ai sensi dell’art. 67 del Regolamento notarile: «Spetta al notaro di dirigere la compilazione dell’atto dal principio alla fine, anche nel caso che lo faccia scrivere da persone di sua fiducia; a lui solo compete di indagare la volontà delle parti e di chiedere, dopo di aver dato ad essi lettura dell’atto, se sia conforme alla loro volontà».

[9] Si approfondirà maggiormente questa critica durante l’analisi del provvedimento del Giudice Tutelare di Milano del 24 febbraio 2015, al terzo capoverso del par. 1 di questa stessa parte.

[10] v. S. Landini, Autonomia testamentaria dei soggetti beneficiari di amministrazione di sostegno e formalismo degli atti di ultima volontà, in Nuova giur. civ. comm., 2012, p. 783.

[11] Per approfondimenti a riguardo si rimanda al par. 2 di seguito.

[12] Si segnala, al riguardo, la relazione intitolata La verifica dell’incapacità nell’atto pubblico. Il ruolo e il rischio del notaio. svolta da Gianantonio Barioni, notaio in Zocca, al convegno nazionale ‘Il crepuscolo della persona, l’incapacità di oggi’, in data 21 novembre 2014.

[13] Chiarificatore dell’uso di questi strumenti è Trib. Sassari, sez. Alghero, decreto 14 luglio 2017, ove si legge che: «L’utente, puntando il proprio sguardo su una successione di lettere, può formare le parole che intende pronunciare. Una volta formata la parola o la frase desiderata, che compare scritta su un apposito spazio dello schermo, l’utente, sempre a mezzo dello sguardo, dà il comando di validazione e, solo a quel punto, l’espressione viene formulata vocalmente dal sintetizzatore ed udibile da chiunque si trovi presente. Lo strumento consente, dunque, senza difficoltà, di esprimersi a chi sia privo della parola e gli permette, prima di esternare in modo definitivo la volontà, di controllare la correttezza di quanto inteso, attraverso la pratica della validazione della scritta comparsa sul monitor. Non vi è alcun dubbio che detto sintetizzatore vocale debba essere riconosciuto come strumento tecnico idoneo, alla luce del co. 2 dell’art. 3 Cost., a rimuovere l’ostacolo che impedisce al malato, a causa della sua malattia, di esprimersi in modo autonomo, menomando di fatto la sua libertà e facendo venir meno l’eguaglianza con gli altri cittadini. In un certo senso tale strumento svolge la funzione che l’interprete assolve per chi parla una lingua straniera o per coloro che sono sordomuti, per i quali è espressamente previsto dall’ordinamento che il terzo si sostituisca non alla loro volontà, ma attraverso l’interpretazione dei segni, esprima esclusivamente la volontà che è loro propria».

[14] Si tratta di strumenti riconosciuti dalla Comunità scientifica internazionale e dalle Associazioni di settore.

[15] Un problema che osta spesso all’utilizzo di queste nuove tecnologie è, come facilmente intuibile, l’elevato costo, nonché la scarsa produzione in Italia. Per questo, i comunicatori oculari non sono accessibili a tutti i pazienti. In questo senso, i dotati di comunicatore oculare sono definiti efficacemente “fortunati tra gli sfortunati”.

[16] Ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della l. 3 marzo 2009, n. 18.

[17] L’art. 2 della Convenzione chiarisce cosa si intende per “comunicazione”: «le lingue (le lingue parlate e la lingua dei segni, come pure altre forme di espressione non verbale), la visualizzazione di testi, il Braille, la comunicazione tattile, la stampa a grandi caratteri, i supporti multimediali accessibili nonché i sistemi, gli strumenti di formati di comunicazione migliorativa ed alternativa scritta, sonora, semplificata, con ausilio di lettori umani, comprese le tecnologie dell’informazione e della comunicazione accessibili».

L’art. 21 prevede che gli Stati che hanno ratificato la Convenzione provvedono ad «accettare e facilitare nelle attività ufficiali il ricorso da parte delle persone con disabilità alla lingua dei segni, al Braille, alle comunicazioni aumentative ed alternative e ad ogni altro mezzo, modalità e sistema accessibile di comunicazione di loro scelta».

[18] Cfr. S. Fazzari, Prime riflessione e indicazioni operative in merito alla nomina da parte del Notaio dell’interprete al muto non capace di leggere ed al sordomuto nell’ambito delle competenze attribuite ai notai dall’art. 22 del D.lgs. 149/2022 (Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 41-2023/PC, approvato dal Gruppo di lavoro sulla Riforma della Volontaria Giurisdizione il 17 aprile 2023).

[19] Il caso così deciso è relativo alla stipula di un contratto di mutuo da parte di due coniugi, uno dei quali affetto da SLA e in grado di comunicare unicamente attraverso un dispositivo a puntamento oculare. I giudici hanno riconosciuto che il soggetto affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, a differenza dei muti o dei sordi o dei sordomuti, è perfettamente in grado, sia pure tramite il dispositivo di comunicazione, di esprimere la propria volontà da sé, senza soggetti intermediari.

[20] La sentenza del Tribunale di Venezia richiama in generale alla stipula di atti pubblici (non, quindi, soltanto al testamento). Nel presente contributo, occorre, però, sottoporre a disamina l’esternazione delle ultime volontà.

[21] Cfr. A.A. Mollo, D. Napolitano, L. M. Sicca, Il formalismo testamentario e le tecnologie assistive per le persone con disabilità: profili giuridici e organizzativi, in EJPLT, 2022.

[22] Interessante, circa la capacità e la libertà decisionale del soggetto affetto da SLA, è la relazione intitolata Il diritto all’autodeterminazione del paziente con SLA, svolta da Giuditta Lucchesi, avvocato familiarista e segretario AISLA Firenze, al convegno “SLA, malattia della persona e della famiglia: l’importanza dell’approccio multidisciplinare”, tenutosi a Ripoli in data 23 settembre 2023.

[23] La limitazione della capacità di testare può essere dichiarata d’ufficio dal Giudice Tutelare, solo ove le condizioni psico-fisiche del soggetto non gli consentano di esprimere una volontà libera e consapevole. Tale limitazione viene intesa come uno strumento di protezione del soggetto. A tal proposito, v. C.M. Bianca, Diritto Civile 2.2 Le successioni, aggiornato da M. Bianca e P. Sirena, Milano, 2022, n. 167.

[24] Le complessità di questa malattia, difatti, vanno ben oltre la sola carenza del suono della voce.

[25] Così S. Patti, Il testamento olografo nell’era digitale, in Riv. dir. civ., 2014, 1001.

[26] L’età che avanza comporta un cambiamento inevitabile della persona, sotto l’aspetto fisico ma soprattutto emotivo, dettato da nuove percezioni che si hanno del mondo attorno a sé. In giurisprudenza, v. Cass. pen., 22 gennaio 2021, n. 2727.

[27] Così C.M. Bianca, Diritto Civile 2.2 Le successioni, p. 307; v. anche Id., Senectus ipsa morbus?, in Studi in onore di Pietro Rescigno, II, 1, Milano, 1998, 95.

[28] Sull’esigenza che l’incapacità dell’anziano non sia valutata in astratto ma in concreto, v. M. Girolami, I testamenti suggeriti, in Riv. dir. civ., 2016, 562.

[29] Aggiunge il Tribunale che spetta a chi impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.

[30] Per un approfondimento sull’aspetto si rimanda al par. 2 che segue.

[31] Cfr. S. Patti, Il testamento pubblico della persona anziana vulnerabile, in Festschrift fur H. Kronke, 2020, 1791 ss.; C. Sartoris, Testamenti suggeriti e invalidità (parziale), in Persona e mercato, 2021, 557 ss.; M. Cinque, Capacità di disporre per testamento e vulnerabilità senile, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2015, 365 ss.

[32] È facile intuire, però, che la prova di questi “suggerimenti” non sempre è agevole da fornire.

[33] Si veda di seguito par. n. 3.

[34] Qui trova una risposta il titolo ‘Senilità non indica inferiorità’.

[35] Secondo S. Patti, Il testamento pubblico della persona anziana vulnerabile, cit., 1795, la legge notarile impone al notaio che riceve l’atto soltanto una mera indagine sulla volontà del testatore (art. 47, comma 2). Ma il notaio, che certamente non è tenuto a svolgere – e non svolge – alcune indagini sulle modalità di formazione della volontà della persona di cui riceve la dichiarazione, in genere non è in grado di impedire che il testamento sia il frutto di una macchinazione di soggetti che hanno adeguatamente preparato il dichiarante, convincendolo, ad esempio, a non lasciare la quota disponibile ai figli per premiare chi “amorevolmente” lo ha assistito esaudendo ogni suo desiderio.

[36] In ambito penale, v. Cass. pen., 22 gennaio 2021, n. 2727: «L’art. 643 c.p., inserito fra i delitti contro il patrimonio mediante frode, tutela il patrimonio del minorato ossia di colui che, non necessariamente interdetto o inabilitato, si trovi in una defedata condizione di autodeterminazione in ordine ai suoi interessi patrimoniali».

[37] Secondo Cass. pen., 22 gennaio 2021, n. 2727: «Come è noto, la legge individua tre categorie di soggetti passivi: a) i minori, b) l’infermo psichico, c) il deficiente psichico. […] La deficienza psichica è un’alterazione dello stato psichico che, sebbene meno grave della infermità, tuttavia, è comunque idonea a porre il soggetto passivo in uno stato di minorata capacità, in quanto le sue capacità intellettive, volitive ed affettive, fanno scemare o diminuire il pensiero critico. Rientrano in tale categoria la fragilità, duttilità e debolezza di carattere, la vecchiaia e in genere ogni altra analoga particolare condizione che offra agevole campo alla suggestione e agli abusi». E ancora, sulla instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente: «… deve trattarsi di un rapporto in cui l’agente abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima a causa del fatto che costei si trova, per determinate situazioni da verificare caso per caso, in una minorata situazione e, quindi, sia incapace di opporre alcuna resistenza a causa della mancanza o diminuita capacità critica. Tale situazione di minorata capacità deve essere oggettiva e riconoscibile da parte di tutti […]».

[38] In particolare, ha lamentato la violazione degli artt. 624, 2698, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

[39] Così gli Ermellini hanno aderito alla riflessione di G. Perlingieri, Invalidità delle disposizioni «mortis causa» e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2016, 126, il quale, rifiutando ogni aprioristica affermazione in ordine all’incapacità di testare dell’anziano, suggerisce di tener conto della sua vulnerabilità, anche attraverso l’estensione della nozione di dolo alla captazione.

[40] «Le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione: […]; 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

[41] Cfr. Cass. civ., 4 febbraio 2014, n. 2448, ove si afferma che la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (in una interessante vicenda successoria nella quale il de cuius aveva disposto delle proprie sostanze con ben sei testamenti susseguitisi negli anni, anni in cui il testatore era stato posto in uno stato di isolamento alterativo delle sue volontà, minando la genuinità della sua capacità volitiva).

[42] Non si ravvisa, all’interno del codice civile, alcun riferimento alla sorte degli atti negoziali compiuti da persone vulnerabili neppure in materia contrattuale.

[43] Si fa riferimento alla mancata conoscenza oggettiva.

[44] Per tutti questi riferimenti ai quadri normativi di altri paesi, v. C. Cersosimo, L’ageing testator, in www.rivistafamilia.it, 15 ottobre 2019.

[45] Già al par. 2 è stata segnalata la irragionevolezza di questa tesi.

[46] In Italia già da tempo si riflette sull’opportunità di modifica del divieto dei patti successori, o inserendo nel codice civile una disciplina inerente al ‘contratto ereditario’ o abrogando il divieto dei patti rinunciativi di cui all’art. 458 c.c.. La prima proposta è sostenuta dall’Associazione civilisti italiani; la seconda, invece, dal Consiglio Nazionale del Notariato.SCARICA DOCUMENTO IN PDF