Adozione legittimante e recisione dei rapporti con la famiglia di origine

Di LUANA LEO -

Cass. civ., sez. I, ord. 5 gennaio 2023, n. 230

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in merito all’adozione legittimante, rimettendo al Giudice delle Leggi la questione di costituzionalità concernente l’art. 27, comma 3, l. n. 184/1983 nella parte in cui prevede che con tale forma di adozione discendente dall’accertamento dello stato di abbandono e dalla dichiarazione di adottabilità cessano irreversibilmente i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine estesi ai parenti entro il quarto grado, escludendo la valutazione in concreto del preminente interesse del minore a non reciderli secondo modalità stabilite in via giudiziale.

Il caso di specie prende le mosse da una pronuncia del Tribunale di Milano con cui si dichiarava il non luogo a provvedere in ordine alla dichiarazione di adottabilità di due minori il cui padre veniva condannato in primo grado a sedici anni di reclusione per l’omicidio della loro madre.

Il Tribunale di Milano dichiarava, altresì, decaduto dalla responsabilità genitoriale la figura paterna disponendo l’interruzione di ogni rapporto con la prole.

I minori venivano, dunque, affidati ai prozii paterni residenti in Gran Bretagna, con previsione di coordinamento tra i servizi sociali italiani e quelli britannici; su questi ultimi incombeva il compito di prendere in carico l’intero nucleo familiare, mantenendo contatti periodici con la nonna paterna ed assicurando l’apprendimento della lingua italiana.

Avverso tale pronuncia presentavano appello la nonna paterna e il tutore dei minori, chiedendo ambedue la collocazione dei minori in un contesto familiare che fosse in grado di provvedere alla loro cura.

La Corte di Appello dichiarava lo stato di adottabilità dei minori, accertata la mancanza da parte degli affidatari delle capacità relazionali ed emotive idonee a garantire ai minori un ambiente solido e sicuro.

Il giudice di secondo grado poneva in luce la necessità di affiancare ai minori figure genitoriali responsabili, nonché un nucleo familiare capace di aiutare gli stessi a superare il trauma vissuto. Al contempo, la Corte di Appello riteneva indispensabile che i minori conservassero una relazione significativa con la nonna materna e mantenessero, altresì, contatti futuri con i familiari del ramo paterno che, pur non avendo riservato sufficiente attenzione agli stessi, avevano comunque dimostrato affetto; ciò tramite l’intervento dei servizi territoriali ai quali spettava definire tempi e modalità degli incontri nel rispetto della privacy dei genitori adottivi e nella consapevolezza di preservare i bambini da gravi pericoli esterni tali da poter seriamente minare il loro benessere psico-fisico.

Nel caso di specie, la Cassazione ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 30 Cost. e all’art. 117 Cost. con riferimento all’art. 8 Cedu nonchè agli artt. 3 e 21 della Convenzione Onu e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la questione di costituzionalità inerente l’art. 27, comma 3, l. n. 184/1983. Entrando nello specifico, essa è rilevante in funzione dell’intervento nomofilattico che si intende svolgere ex art. 363 c.p.c., nell’interesse della legge, ricorrendone i presupposti dell’inammissibilità del ricorso e della particolare importanza della questione cui deve aggiungersi l’attualità, confermata dalla sussistenza di plurime situazioni di confine nei giudizi diretti ad accertare i presupposti per la dichiarazione di adottabilità (Corte cost., n. 119/2005).

Il dubbio di legittimità costituzionale sulla norma censurata è non manifestamente infondato, in quanto l’impianto normativo in materia di adozione non impedisce una interpretazione estensiva dei modelli di genitorialità diversi dall’adozione legittimante; in tal senso, si identifica nella fattispecie astratta prevista nell’art. 44, lett. d), una sorta di clausola residuale che ha permesso l’emersione e l’affermazione della c.d. “adozione mite” sino all’adeguamento del modello alle coppie omogenitoriali.

L’art. 27, comma 3, della legge sopramenzionata costituisce un esempio eclatante di norma in palese contrasto con l’esigenza di valutare in concreto il preminente interesse del minore.

Appare pertanto doveroso svolgere brevi considerazioni in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione, tentando di delineare una risposta puntuale e coerente, preventiva al giudizio costituzionale. Innanzitutto, si deve segnalare che da diverso tempo è stato intrapreso da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità un percorso di avvicinamento delle norme sull’adozione, incentrate su un sistema sostanzialmente monista, ad un sistema pluralistico, che risulti in grado di conformare i modelli di genitorialità adottiva alle nuove realtà giurisprudenziali. Difatti, la Consulta ha eliminato quasi interamente le differenze di tutela tra i vari modelli adottivi (Corte cost., n. 79/2022), provvedendo a rendere omogeneo lo statuto di tutela dei minori. Tuttavia, quest’ultimo risulta ancora incompleto proprio in virtù della sentita necessità di preservare i rapporti con la famiglia di origine anche ove si opti per il modello più radicale di genitorialità adottiva. È impossibile – a parere di chi scrive – pervenire ad una soluzione uniforme, data la specificità di ciascun caso. Sebbene l’adozione legittimante miri ad assicurare al minore una stabilità familiare, si deve tenere presente che l’allontanamento definitivo dal nucleo di origine potrebbe costituire per il minore un evento traumatico, che si andrebbe a sommare a quello iniziale. Con riguardo alla vicenda in esame, il mantenimento dei rapporti con il ramo paterno potrebbe essere letto come un elemento positivo per i minori coinvolti, considerata la perdita immediata e improvvisa del rapporto con entrambi i genitori.

La predetta vicenda – a giudizio di chi scrive – costituisce una preziosa occasione per riflettere sulla delicatezza e sulla peculiarità delle situazioni coinvolgenti gli “orfani dei femminicidi”, invitando il legislatore alla stesura di un’apposita disciplina in materia.

In via definitiva, l’automatica interruzione dei legami con la famiglia di origine non sempre si pone in linea con il preminente interesse del minore, finendo talvolta per arrecare maggiore pregiudizio allo stesso, vittima inconsapevole.

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