La rinunzia all’eredità e l’errore sul titolo della delazione
Sommario: 1. Premessa – 2. La rinunzia all’eredità – 2.1. (Segue) Patologie della rinunzia: i vizi del consenso – 2.2. L’errore sul titolo della delazione – 3. Un possibile “diritto di ripensamento” – 4. Conclusioni.
- Premessa
Ai sensi dell’art. 526, co. 1, c.c. «La rinunzia all’eredità si può impugnare solo se è l’effetto di violenza o di dolo».
Dunque, analogamente a quanto prescritto dall’art. 482 c.c., dettato per la speculare ipotesi di accettazione dell’eredità, non è previsto che la rinunzia possa essere impugnata ove la volontà del dichiarante sia stata viziata da errore-motivo[1].
In via di prima approssimazione, può dirsi che le rationes della norma sono state tradizionalmente rinvenute sia nell’esigenza di assicurare certezza ai rapporti giuridici[2] sia di responsabilizzare il chiamato[3].
Tuttavia, come si dirà più diffusamente nel prosieguo, si è ritenuto che l’irrilevanza dell’errore non concerna quello cd. ostativo[4], i cui caratteri sono gli stessi delineati in materia contrattuale.
Detta norma, oggi, deve essere oggetto di attente e più aggiornate riflessioni, onde verificare se l’errore riguardante il titolo della delazione ereditaria sia riconducibile alla sfera dell’errore-ostativo, con conseguente annullabilità della dichiarazione resa dal chiamato.
In secondo luogo, occorre verificare se – alla luce dei principi generali del diritto delle successioni – sia configurabile uno strumento che assicuri, in ogni caso, a colui che ha rinunziato ritenendo di essere erede legittimo, invece che testamentario, una sorta di “diritto di ripensamento”.
La soluzione delle questioni giuridiche prospettate non è così scontata, come prima facie sembrebbe. Difatti, mentre il secondo comma dell’articolo 483 c.c., accenna ad alcuni degli effetti della scoperta di un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, gli articoli 519 ss. c.c. nulla prevedono nel caso di rinunzia all’eredità.
Si tratta, allora, di ricostruire sistematicamente il rapporto tra le due disposizioni, non certo al fine di un mero esercizio di pensiero ma per risolvere problemi pratici che, con frequenza, si pongono all’attenzione dell’operatore del diritto.
- La rinunzia all’eredità
La questione prospettata richiede di soffermarsi anzitutto sulla disciplina della rinunzia all’eredità, ed in particolare sui riferimenti normativi in materia: gli artt. 519 ss. c.c.
Dunque, la rinunzia all’eredità è un negozio giuridico unilaterale[5], non recettizio, mediante il quale il delato – ossia colui al quale è concretamente offerta l’eredità[6] – manifesta la propria volontà di non assumere lo status di erede[7], rendendo attuale la delazione in favore dei cd. chiamati in subordine, i quali – a loro volta – potranno accettare ovvero rinunziare.
Orbene, dismettendo il diritto di accettare l’eredità, il rinunziante è considerato come se non fosse mai stato chiamato. Difatti, l’art. 521 c.c. – analogamente a quanto disposto in tema di accettazione (art. 459 c.c.) – sancisce la retroattività della rinunzia.
A norma dell’art. 519 c.c. tale negozio deve rivestire una forma solenne[8], giacché è prescritto che la rinunzia debba farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e che la stessa debba essere inserita nel registro delle successioni, al fine di renderla opponibile ai terzi.
Sebbene la legge non prescriva tale forma ad substantiam, dottrina[9] e giurisprudenza[10] – argomentando ex art. 1350, n. 13, c.c. – non sembrano dubitarne.
A norma dell’art. 520 c.c. la rinunzia è un actus legitimus (o puro), giacché non tollera l’apposizione di condizioni o termini, i quali determinerebbero il differimento degli effetti della delazione ovvero la subordinazione della sua efficacia al verificarsi o meno di un dato evento, incidendo quindi sull’inderogabile regime legale[11].
Inoltre, analogamente a quanto statuito in tema di accettazione (art. 475 c.c.), è prescritta la nullità della rinunzia parziale[12].
Invero, per quanto qui di rilievo, particolarmente controverso è se la rinunzia relativa al solo titolo della delazione sia attratta nell’ordita della nullità. Orbene, la giurisprudenza, che sul punto si è pronunciata in tempi piuttosto risalenti[13], sembra avere accolto la tesi negativa sul presupposto che un simile negozio configurerebbe un ammissibile atto di dismissione di diritti e di disposizione delle quote ereditarie.
Diversamente, la dottrina – richiamando il principio di unicità della delazione, secondo il quale più delazioni a favore del medesimo chiamato si fondono in un’unica delazione – ritiene che la rinuncia alla vocazione testamentaria comporti anche la rinunzia all’eventuale vocazione legittima e viceversa[14]. Del resto, a ben vedere, tale ipotesi coinciderebbe con quella dell’accettazione parziale, della cui nullità non si discute ex art. 475 c.c.
Ancorché la legge nulla disponga sul punto, argomenti di ordine logico suggeriscono che la rinunzia sia soggetta al medesimo termine di prescrizione decennale previsto per l’accettazione dell’eredità[15]: del resto, si può rinunziare all’eredità fintanto che il diritto di accettare non si è estinto. Parimenti, si ritiene che qualora il termine per accettare risulti abbreviato ex artt. 481 e 487, ultimo co., c.c. il termine per rinunziare dovrà ritenersi del pari ridotto.
Inoltre, ove il chiamato sia nel possesso dei beni ereditari, il termine per la rinunzia si riduce a tre mesi dall’apertura della successione. Mentre in passato era piuttosto pacifico che non fosse necessario procedere preventivamente all’inventario[16], di recente la giurisprudenza – argomentando ex art. 485 c.c., dettato in tema di accettazione – sembra aver accolto un diverso orientamento[17].
Infine, occorre precisare che la rinunzia all’eredità – al pari dell’accettazione – non è un negozio personalissimo, giacché la relativa dichiarazione può essere resa a mezzo di un rappresentante. Tale opzione interpretativa sembra essere avallata dalla disciplina contenuta nel libro I del codice civile e, segnatamente dagli artt. 320 e 374 c.c. Dalle citate disposizioni, le quali prevendono che ai fini della validità della rinunzia effettuata da incapace occorre – tra l’altro – un’autorizzazione giudiziaria, è possibile altresì ricavare che si è in presenza di un atto di straordinaria amministrazione[18].
In definitiva, la rinunzia all’eredità è un negozio giuridico unilaterale non recettizio, fra vivi, formale. Inoltre, è actus legitimus, di straordinaria amministrazione. Non è un negozio personalissimo.
2.1 (Segue) Patologie della rinunzia: i vizi del consenso
Così brevemente individuati i caratteri della rinunzia all’eredità, è possibile entrare nel cuore della trattazione, esaminando il tema dell’invalidità della stessa, per vizi del consenso[19].
Come si è anticipato, l’articolo 526 c.c. ammette espressamente l’annullamento della rinunzia nei casi in cui la volontà del dichiarante sia stata estorta con violenza ovvero carpita con dolo.
Giacché alla rinunzia all’eredità si è riconosciuta natura giuridica di negozio unilaterale inter vivos, in virtù del rinvio operato dall’art. 1324 c.c. alle norme che regolano i contratti, i caratteri essenziali dei vizi della volontà dovranno trarsi dalla disciplina contenuta negli artt. 1427 ss. c.c.[20].
Pertanto, la violenza alla quale fa riferimento l’art. 526 c.c. è quella morale (cd. vis compulsiva), la quale consiste nella minaccia esplicita, manifesta e diretta di un male ingiusto e notevole che pone il delato dinanzi ad un’alternativa: rinunziare all’eredità per evitare di subire la violenza ovvero non concludere tale negozio e subire il male minacciato. Nessun rilevo assume, invece, il mero timore reverenziale (arg. ex artt. 1434 e 1435 c.c.).
Con particolare riferimento al dolo, affinché la rinunzia sia annullabile, è necessario che esso sia stato determinate nella formazione della volontà del delato (cd. dolo determinante). In altre parole, è necessario accertare che, in mancanza di raggiri e artifizi, il rinunziante non avrebbe posto in essere il negozio de quo[21]. Nessun rilievo, ai fini dell’annullamento, assume il cd. dolo incidente, giacché gli effetti dell’atto sono inderogabilmente definiti dal legislatore (arg. ex artt. 1439 e 1440 c.c.).
Trattandosi di un negozio unilaterale, l’autore della violenza ovvero del dolo è necessariamente un soggetto terzo[22].
Il co. 2 dell’art. 526 c.c. prevede – analogamente a quanto statuito in materia contrattuale dall’art. 1442, co. 2, c.c. – che l’azione volta a far valere l’annullamento della rinunzia si prescrive nel termine di cinque anni, il cui dies a quo coincide con il giorno in cui è cessata la violenza ovvero è stato scoperto il dolo[23].
Soggetto legittimato ad esperire l’azione non è chiunque vi abbia interesse – a differenza di quanto previsto dall’art. 624 c.c., dettato in materia di vizi della volontà nel testamento – bensì il rinunziante e suoi aventi causa – analogamente a quanto previsto in materia contrattuale dall’art. 1441 c.c. Inoltre, in via surrogatoria, legittimati attivi sono altresì i creditori del rinunziante[24], il cui interesse ad agire si ritiene sussistente solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 525 c.c.[25].
Legittimati passivi, invece, sono coloro i quali abbiano tratto o ricevuto vantaggi dal negozio di rinunzia.
Invero, si ritiene che l’annullabilità della rinunzia all’eredità si possa fare valere anche in via di eccezione, senza che operi un termine di prescrizione, ex. art. 1442 c.c.[26].
Maggiormente controversi sono gli effetti dell’accoglimento dell’azione di annullamento[27].
Difatti, secondo una parte della dottrina, ripristinandosi lo status quo ante, la delazione diverrebbe nuovamente attuale e l’ex rinunziante potrebbe decidere nuovamente se accettare o rinunziare[28].
Diversamente, secondo altra parte della dottrina, l’esperimento dell’azione de qua configurerebbe un’ipotesi di accettazione tacita, con la conseguenza che l’ex rinunziante diventerebbe erede, senza possibilità di ripensamento, operando il principio semel heres semper heres[29].
Infine, si osserva che in dottrina si è discusso in ordine all’applicabilità al negozio de quo della disciplina dettata in tema di simulazione. Il dubbio è sorto in quanto anche in tale ipotesi si riscontra una divergenza tra la volontà del dichiarante e la manifestazione della stessa. Tuttavia, la non recettizietà della rinunzia dovrebbe far propendere per la tesi negativa[30].
2.2. L’errore sul titolo della delazione
Come si è anticipato, l’art. 526 c.c. non menziona l’errore tra i vizi della volontà che legittimano l’impugnazione della rinunzia all’eredità. Di qui il sorgere di dubbi interpretativi non certo di poco conto se, come si è detto, un possibile effetto dell’accoglimento dell’azione potrebbe essere il rendere nuovamente attuale la delazione in favore dell’ex rinunziante.
Orbene, la dottrina – in ossequio al principio lex tam dixit quam voluit e, analogamente a quanto previsto dall’art. 483, co. 1, c.c., dettato in tema di accettazione di eredità[31] – ne ha dedotto che la rinunzia non si possa impugnare in presenza di una falsa rappresentazione della realtà “autoindotta”, ancorché sia stata essenziale nella formazione della volontà (cd. errore-vizio). In particolare, l’utilizzo dell’avverbio “solo” confermerebbe la volontà del legislatore di escludere implicitamente ma inequivocabilmente la rilevanza dell’errore nella rinuncia all’eredità (in claris non fit interpretatio).
A lungo ci si è interrogati sulla ratio legis.
Secondo alcuni autori essa dovrebbe ravvisarsi nella generale esigenza di certezza dei rapporti giuridici[32]: il legislatore ha inteso evitare che la destinazione dell’asse ereditario permanesse eccessivamente incerta ed indeterminata nel tempo. Del resto, all’indomani della pubblicazione del progetto preliminare del libro II del codice civile, si propose di ammettere l’impugnazione della rinunzia nel solo caso di errore sulla consistenza dell’asse. Tuttavia, l’interesse pubblicistico alla stabilità degli acquisti ereditari indusse a non modificare la disposizione in esame[33].
Secondo altri Autori, invece, si tratterebbe di evitare che la caducazione degli effetti della rinunzia dipenda da nuove e successive valutazioni sulla sua convenienza operate dal dichiarante[34]. In altre parole, si tratterebbe di responsabilizzare il rinunziante in ordine alle scelte dallo stesso effettuate.
Senonché, si è ritenuto che la rinunzia all’eredità fosse annullabile in presenza del cd. errore-ostativo[35].
A tale risultato si è giunti in primis evidenziando che la ratio della rinunzia e dell’accettazione è la medesima. Pertanto, se l’accettazione dell’eredità può essere annullata per errore-ostativo (arg. ex art. 483, co. 1, c.c.), parimenti deve esserlo la rinunzia.
In secundis, si è osservato che l’errore-ostativo, a differenza dall’errore-vizio che indice sul processo di formazione del consenso del dichiarante, consiste in una mera divergenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua esteriorizzazione ovvero trasmissione[36].
Ciò posto, si tratta di verificare se l’errore sul titolo della delazione possa essere ricondotto all’alveo dell’errore-ostativo e se, quindi, legittimi l’esperimento dell’azione di annullamento ex art. 526 c.c. Difatti, ben potrebbe accadere che un soggetto – ritenendo di essere delato ex lege – rinunzi all’eredità e che successivamente si scopra l’esistenza di un testamento che lo designava unico erede ovvero lo istituiva in una quota diversa. Pertanto, potrebbe sorgere l’interesse di questo ad un “ripensamento”.
Invero, sul punto si riviene un unico precedente della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale: «In tema di successioni ereditarie, benché l’art. 526 c.c. escluda l’impugnazione per errore della rinuncia all’eredità, ciò non impedisce che tale impugnazione sia ammessa in presenza di errore ostativo; detta fattispecie, peraltro, non ricorre quando la rinuncia sia avvenuta in base all’erronea convinzione di essere stato chiamato alla successione in qualità di erede legittimo anziché di erede testamentario, rimanendo tale ipotesi estranea a quella dell’errore sulla dichiarazione[37]».
A tale conclusione la Suprema Corte di Cassazione giunge attraverso un iter logico-argomentativo coerente e piuttosto condivisibile. In particolare, si osserva che se l’errore ostativo – come si è detto – è quello che cade sulla dichiarazione e non sul processo formativo della volontà del dichiarante, allora non può essere ricondotta ad esso la rinuncia fatta da colui che era erroneamente convinto di essere stato chiamato ad una determinata successione come erede non già legittimo ma testamentario.
Del resto, in siffatta ipotesi l’errore concerne i presupposti di fatto e di diritto della successione, i quali inseriscono alla fase di determinazione della volontà e non della sua trasmissione.
Ad ulteriore conferma di tale orientamento, si richiama il citato art. 483 c.c., il quale – dopo aver escluso, come si è detto più volte, che l’accettazione dell’eredità possa essere impugnata se viziata da errore (co. 1) – stabilisce che, se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità o con pregiudizio della porzione di legittima che gli è dovuta (co. 2)[38]. In tal modo, il legislatore ha inteso ricondurre la scoperta di un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione ad un mero vizio del consenso per errore, di cui ha espressamente escluso la rilevanza ai fini dell’impugnazione.
Orbene, non si comprende per quale ragione si dovrebbe giungere ad una conclusione diametralmente opposta nei casi in cui l’errore sul titolo abbia determinato la rinunzia all’eredità.
In definitiva, salvo le espresse deroghe legislative, la rinuncia è un negozio che produce effetti giuridici tendenzialmente irretrattabili, di guisa tale che la sua impugnazione non può avvenire per errore sul titolo della delazione.
- Un possibile “diritto di ripensamento”
Le considerazioni sopra svolte non devono indurre alla frettolosa conclusione che nessuna forma di “ripensamento” sia riconoscibile a colui che abbia rinunziato all’eredità.
Difatti, se si esamina più attentamente la disciplina della rinunzia all’eredità, si osserva che l’art. 525 c.c. consente la revoca della stessa, alla congiunta sussistenza delle seguenti condizioni: 1) che il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto contro colui che vi ha rinunziato; 2) che l’eredità non sia già stata acquistata da altro dei chiamati[39].
Alla luce di tale previsione normativa, si ritiene che la rinunzia non determini la perdita definitiva per il chiamato del diritto di accettare l’eredità, ma unicamente il suo ingresso in una fase di “quiescenza”[40]. Di qui, la posizione di chi sostiene che la facoltà de qua sia trasmissibile ex art. 479 c.c.
La dottrina si è interrogata sulla ratio della norma, la quale è stata rinvenuta nel particolare favore che l’ordinamento riserva all’acquisto dell’eredità da parte di colui che vi è stato chiamato.
Quanto alla forma della revoca, l’art. 525 c.c. è silente sul punto. Tuttavia, esercitandosi essa attraverso un’accettazione “tardiva” dell’eredità, dovrà rivestirne la relativa forma[41], con la conseguenza dell’inammissibilità di una revoca tacita[42].
Orbene, tale rimedio potrà essere esperito – ricorrendone le condizioni – anche da colui che abbia rinunziato all’eredità ritendono che la delazione fosse legittima piuttosto che testamentaria.
Evidentemente la revoca della rinunzia ex art. 525 c.c. non produrrà il medesimo effetto dell’azione di annullamento ex art. 526 c.c., ma consentirà di riconoscere al rinunziane un “limitato diritto di ripensamento”.
- Conclusioni
In conclusione, colui che abbia rinunziato all’eredità, ritenendo per errore di essere delato ex lege, non potrà agire giudizialmente per far dichiarare l’invalidità, sub specie dell’annullabilità, del negozio. Difatti, l’articolo 526 c.c. – così come la norma contenuta nell’art. 483 c.c., dettata in tema di accettazione – ammette espressamente tale rimedio nei soli casi in cui la volontà del dichiarante sia stata estorta con violenza ovvero carpita con dolo.
Neppure si potrebbe qualificare il vizio de quo come errore-ostativo – che dottrina e giurisprudenza non dubitano rilevare ai sensi e per gli effetti della norma de qua –posto che esso non attiene alla mera dichiarazione ovvero trasmissione della volontà del rinunziante, ma ai presupposti di fatto e di diritto della successione, i quali inseriscono alla fase di determinazione della volontà.
Invero, tale interpretazione non sembra essere contraddetta dalla circostanza che il secondo co. dell’articolo 483 c.c. accenna ad alcuni degli effetti della scoperta di un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, mentre gli artt. 519 ss. c.c. sono silenti sul punto.
Difatti, potrebbe affermarsi che il legislatore – avendo stabilito che se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità o con pregiudizio della porzione di legittima che gli è dovuta – ha inteso ricondurre la scoperta di un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione [ovvero della rinunzia] ad un mero vizio del consenso per errore, di cui ha espressamente escluso la rilevanza ai fini dell’impugnazione.
Tuttavia, se è vero che nel caso in esame il rinunziante non potrà rimettere in discussione la sua scelta avvalendosi del rimedio di cui all’art. 526 c.c., un limitato diritto di ripensamento potrà essergli riconosciuto alla luce dei principi generali del diritto delle successioni. In particolare, ex art. 525 c.c. il dichiarante potrà revocare la rinunzia, sempreché che il suo diritto di accettare l’eredità non sia prescritto e che l’eredità non sia già stata acquistata da altro dei chiamati, salvi in ogni caso i diritti dei terzi[43].
[1] C. Giannattasio, Delle successioni. Disposizioni generali. Successioni legittime, Torino, 1971, 244 ss.
[2] G. Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. De Martino, sub artt. 456-535, Novara, 1973, 458 ss.
[3] C. M. Bianca, Diritto civile, 2.2 Le successioni, 6ª ed. (a cura di M. Bianca e P. Sirena), Milano, 2022, 129 ss.
[4] L. Ferri, Successioni in generale, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 519-535, Bologna-Roma, 1968, 74 ss.
[5] Secondo alcuni autori, la rinunzia prevista dall’art. 519 c.c. si configura alla stregua di un negozio giuridico unilaterale abdicativo, mediante il quale si dismette un diritto del quale si è titolari (dismissione del c.d. ius adeundae hereditatis). In tal senso, v. C. M. Bianca, Diritto civile, op. cit., 633 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 4ª ed., Torino, 2006, 109 ss.; C. Coppola, La rinunzia all’eredità, in Tratt. dir. successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, I, Milano, 2009, 1531 ss. Invero, altra parte della dottrina ritiene si tratti di un mero atto di rifiuto (cd. omissio adquirendi): «il rinunziante, essendo privo della qualità̀ di erede, non dismette la titolarità̀ di alcun diritto, ma abdica semplicemente alla qualità̀ di chiamato all’eredità». In tal senso, v. A. Palazzo, Successioni (Parte generale), in Digesto civ., XIX, 4 a ed., Torino, 1999, 122 ss.
[6] La rinunzia può essere validamente compiuta solo dopo l’apertura della successione. Diversamente, la stessa sarebbe nulla ex art. 458 c.c., integrando un patto successorio rinunziativo. Invero, non è pacifico se la rinunzia possa essere validamente compita da quei chiamati all’eredità la cui delazione non è ancora attuale (si pensi, a titolo esemplificativo, al chiamato sotto condizione sospensiva ancora pendente).
[7] G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, op. cit., 112 ss.
[8] Cass. civ. Sez. II Sent., 12 ottobre 2011, n. 21014, in CED Cassazione, 2011; Cass. civ. Sez. III Sent., 19 febbraio 2014, n. 3958, in CED Cassazione, 2014; Cass. civ. Sez. III, 29 marzo 2003, n. 4846, in Vita Notarile, 2003, 894 ss. «Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 cod. civ. in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile». Difformi, v. Cass. civ. Sez. VI – 2, 4 luglio 2016, n. 13599, in Fam. dir., 2017, 5, 441 ss., con nota di F. Galluzzo.
[9] G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 163 ss.; V. Sciarrino, Profili formali della disciplina in tema di rinunzia all’eredità e di revoca della rinunzia, in Corriere giur., 2019, 8-9, 1123 ss.
[10] Cass. civ. Sez. II Sent., 20 febbraio 2013, n. 4274, in Vita Notarile, 2013, 2, 829 ss.; Cass. 22 ottobre 1975, n. 3500, in Foro it., 1976, I, 1952 ss.; Cass. 5 maggio 1973, n. 1187, in Foro it., 1974, I, 1516 ss.
[11] G. Prestipino, Delle successioni in generale, op. cit., 425 ss.
[12] G. Grosso – A. Burdese, Le successioni. Parte generale, in Tratt. Vassalli, Torino, 1977, 388 ss.
[13] Cass. civ. Sez. II, 1° luglio 2002, n. 9513, in Notariato, 2003, 4, 385 nota di R. Battista.
[14] G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, 2ª ed., Milano, 2002, 216 ss.
[15] L. Ferri, Successioni in generale, op. cit., 74 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni (a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino), Milano, 2015, 311 ss.
[16] Cass. civ. Sez. II, 17 ottobre 2016, n. 20960, in Giur. It., 2017, 11, 2364 nota di G. Sicchiero.
[17] Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 23 novembre 2021, n. 36080, in CED Cassazione, 2021.
[18] A. Cicu, Le successioni. Parte generale, 3 a ed., Milano, 1945, 159 ss.
[19] Invero, la rinunzia – richiedendo ai fini della sua validità la piena capacità legale del dichiarante – può essere annullata anche ove sia stata posta in essere personalmente da un soggetto totalmente incapace, piuttosto che dal suo rappresentante legale, ovvero da un soggetto parzialmente capace, ma senza l’assistenza del curatore. Inoltre, configurandosi come atto eccedente l’ordinaria amministrazione, la stessa può essere altresì annullata in mancanza delle prescritte autorizzazioni giudiziali. Infine, ulteriori cause di annullamento si traggono dalla disciplina dettata in tema di conflitto di interessi nella rappresentanza.
[20] L. Ferri, Successioni in generale, op. cit. 132 ss.
[21] Secondo alcuni Autori, non rileva la persona dalla quale provengono i raggiri. Pertanto, non troverebbe applicazione il co. 2 dell’art. 1439 c.c. In tal senso, v. C. Giannattasio, Delle successioni. Disposizioni generali. Successioni legittime, op. cit., 244 ss.; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, op. cit., 166 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, vol. I, Parte generale, t. III, Napoli, 1961, 101 ss.
[22] A. Cicu, Le successioni. Parte generale, op. cit., 202 ss.
[23] Invero, secondo alcuni Autori, il termine di prescrizione dovrebbe decorre dal momento in cui la rinunzia è divenuta irrevocabile. In tal senso, v. G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, op. cit., 167 ss.
[24] In tal senso, v. G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, op. cit., 110 ss
[25] In tal senso, v. C. Coppola, La rinunzia all’eredità, op. cit., 1531 ss.
[26] In tal senso, v. L. Ferri, Successioni in generale, op. cit., 133 ss.
[27] V. Barba, La posizione giuridica del chiamato che abbia rinunziato all’eredità, in Fam., pers. e succ., 2009, 11 ss.
[28] In tal senso, v. L. Ferri, Successioni in generale, op. cit., 133 ss.
[29] In tal senso, v. A. Cicu, Le successioni. Parte generale, op. cit., 202 ss.
[30] S. Pugliatti, La simulazione nei negozi unilaterali, in Scritti per A. Scialoja, vol. III, Milano, 449 ss.; N. Distaso, La simulazione nei negozi giuridici, Torino, 1960, 308 ss.; P. Schlesinger, voce Successioni (diritto civile). Parte generale, in Noviss. Dig. it., XVIII, 764 ss.
[31] Invero, l’art. 483, co. 1, c.c. – a differenza dell’art. 526 c.c. – esclude espressamente che l’accettazione dell’eredità si possa impugnare se è viziata da errore. In tal modo, la norma lascia intendere che, ove l’errore sia meramente ostativo, l’azione in esame possa essere proposta.
[32] In tal senso, v. G. Prestipino, Delle successioni in generale, op. cit., 458 ss.; V. Pietrobon, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 472 ss.
[33] Del resto, all’errore sulla consistenza della massa ereditaria il legatore ha ovviato mediante l’istituto dell’accettazione con beneficio di inventario. In tal senso, v. A. Cicu, Le successioni. Parte generale, op. cit., 202 ss.; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, op. cit., 167 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. III, parte 2, 8 ed., Milano, 1951, 307 ss.
[34] In tal senso, v. C. M. Bianca, Diritto civile, 2.2 Le successioni, op. cit., 129 ss.
[35] In tal senso, v. L. Ferri, Successioni in generale, op. cit., 131 ss.; A. Cicu, Le successioni. Parte generale, op. cit., 202 ss; G. Capozzi, Successioni e donazioni, op. cit., 216 ss.; P. Ferrero – D. Podetti, La rinuncia all’eredità, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, I, Padova, 1994, 387 ss. Invero, va segnalata l’opinione di alcuni Autori che ritengono che nei casi di errore-ostativo il rimedio debba consistere nella nullità e non nell’annullabilità. In particolare, si giunge a tale conclusione equiparando l’errore-ostativo alla mancata consapevolezza da parte del rinunziante della sua delazione attuale all’eredità. In tal senso, v. G. Grosso – A. Burdese, Le successioni. Parte generale, op. cit., 342 ss.
[36] In tal senso, v. F. Messineo, Teoria dell’errore ostativo. Saggio di diritto privato e di dottrina generale del diritto, Roma, 1915, 55 ss.; V. Sciarrino – M. Ruvolo, La rinunzia all’eredità, in Il Codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2008, 312 ss.
[37] Cass. civ. Sez. II, 12/ giugno 2009, n. 13735, in Fam. pers. succ., 2010, 6, 420 ss., con nota di T. Bonamini; in Riv. notariato, 2, 2010, 495ss, con nota di G. Musolino. Si riportano, di seguito, i punti salienti della vicenda fattuale. La signora Tizia – deceduto ab intestato il marito Caio – aveva rinunziato alla relativa eredità relicta che, quindi, si era interamente devoluta alle tre figlie. Senonché, successivamente, veniva scoperto un testamento olografo in forza del quale la medesima veniva istituita erede nella quota disponibile, oltre che in quella di legittima. Pertanto, essendo la rinuncia alla eredità avvenuta per un titolo diverso da quello esistente, Tizia agiva in giudizio deducendo l’invalidità dell’atto e domandando la divisione della massa ereditaria. Il ricorso veniva rigettato in primo grado ed in appello. Tizia, quindi, proponeva ricorso per Cassazione denunciando, tra l’altro, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 526, 1324, 1429 c.c.
[38] Nell’ipotesi in cui il testatore abbia istituito soggetti diversi dai successibili ex lege, troverà applicazione la disciplina dettata in tema di erede apparente (artt. 534 ss. c.c.).
[39] S. Belloni, “Sulla nullità della revoca della rinuncia all’eredità”, in La Nuova Giurisprudenza civile commentata, 1999, 579 ss.; C. Giannattasio, Delle successioni. Disposizioni generali. Successioni legittime, op. cit., 234 ss. Tali Autori rilevano che in caso di accrescimento a favore di un coerede che abbia già accettato, non potendo la quota rinunziata considerarsi vacante, non è applicabile l’art. 525 c.c. «In forza del combinato disposto degli artt. 522 e 676 cod. civ., la quota del coerede rinunziante si accresce ipso iure a favore di coloro che avrebbero con lui concorso, senza che sia necessaria una specifica accettazione dei subentranti, atteso che l’acquisto per accrescimento consegue all’espansione dell’originario diritto all’eredità, già sussistente in capo ai subentranti, con l’ulteriore conseguenza che, determinatosi tale acquisto, la rinunzia all’eredità diviene irrevocabile». Cass. civ. Sez. II Sent., 21/05/2012, n. 8021, in CED Cassazione, 2012. Inoltre, stante l’indisponibilità della delazione deve escludersi che – ove i chiamati in subordine abbiano accettato l’eredità – sia possibile la revoca della rinunzia in virtù del consenso degli altri interessati: venuta meno la delazione, essa non può essere ripristinata per volontà dei privati. Piuttosto in tale ipotesi si configurerebbe un atto di disposizione della quota ereditaria.
[40] «La rinuncia all’eredità si limiterebbe a determinare la coesistenza del diritto di accettazione dell’eredità sia in capo al rinunziante sia in capo ai chiamati ulteriori o in subordine». In tal senso, v. F. Galluzzo, Sulla rinuncia all’eredità e sull’ammissibilità di una revoca tacita della rinuncia, in Famiglia e Diritto, 2017, 5, 441 ss.
[41] G. Prestipino, Delle successioni in generale, op. cit., 454 ss. «Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne senza possibilità di equipollenti. Pertanto, la rinunzia all’eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell’art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria». Cass. civ. Sez. VI – 2, 04 luglio 2016, n. 13599, in Notariato, 2016, 6, 603 ss.
[42] V. Sciarrino, Profili formali della disciplina in tema di rinunzia all’eredità e di revoca della rinunzia, op. cit., 1123 ss.
[43] Invero, in dottrina si discute sul significato da attribuire all’inciso “salvi i diritti dei terzi in caso di revoca della rinunzia”. Secondo alcuni Autori, la norma indicherebbe il passaggio dei poteri di gestione del patrimonio ereditario ai chiamati successivi o al curatore dell’eredità giacente. In tal senso, v. G. Grosso – A. Burdese, Le successioni. Parte generale, op. cit., 356 ss. Secondo altri, invece, la norma varrebbe ad escludere il diritto del legittimario ad esperire l’azione di riduzione in caso di revoca della rinunzia. In tal senso, v. G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, op. cit., 175 ss. Infine, vi è anche chi esclude che tale inciso abbia effettiva rilevanza. In tal senso, v. L. Ferri, Successioni in generale, op. cit., 128 ss.
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